Il PRETE, LA DONNA E IL CONFESSIONALE

                                                                       di Giuseppe Piredda

Il prete, la donna e il confessionale

La commovente storia di una ragazza a cui il prete, poi convertitosi, rifiutò di dare l’assoluzione ma il Signore no

sono due donne le quali sono estremamente degne della compassione dei discepoli di Gesù Cristo, e per le quali si dovrebbe incessantemente pregare: la bramina delle Indie, la quale ingannata dai suoi preti si slancia sul rogo, ove riposa il corpo di suo marito, e si lascia bruciar viva per disarmar la collera del suo dio di legno; e la donna del cattolicismo romano, la quale non meno ingannata dai suoi preti, soffre nel confessionale torture più atroci di quelle del fuoco, per placar lo sdegno dal suo dio di pasta.

Poiché, non esito a dirlo, per un gran numero di donne ben nate ed educate, il palesare ad un uomo i più segreti pensieri, i misteri più sacri dell’anima, le azioni più compromettenti della vita, tutto questo è supplizio più ignominioso ed atroce di quel che sia lasciarsi bruciare viva.

 

Più volte delle donne sono svenute nel mio confessionale, e più tardi mi han confessato, che il dover dire ad un uomo non ammogliato cose, sulle quali le leggi del pudore non permettono di aprir bocca, era stato per loro una pena insopportabile e mortale. Cento e mille volte mi è avvenuto di raccogliere dalle labbra di una morente queste desolanti parole: Io sono perduta! Tutte le mie confessioni e comunioni sono nulle e sacrileghe, giacchè non ho mai saputo esattamente rispondere alle domande dei miei confessori: una ripugnanza funesta mi ha tenuta chiusa la bocca, ed ha perduta l’anima mia!

 

Più volte sono rimasto quasi pietrificato di terrore vicino ad un cadavere, allorchè subito dopo pronunziate queste parole dalla morente, la falce della morte troncava lo stame di quella vita, ed io non aveva tempo di darle l’assoluzione. Credeva anch’io allora, come la moribonda, che senz’assoluzione non potesse essere salvata.

 

Pur si contano migliaia di giovanette e di donne di carattere nobile ed elevato, le quali per un ingenito sentimento di pudore son rese invulnerabili contro tutti i sofismi, e tutte le seducenti parole dei loro confessori. Non mai queste risponderanno con un sì a certe insidiose domande che loro son rivolte nel confessionale. Preferirebbero esser gittate sulle fiamme e morire sul rogo con la vedova indiana, anziché permettere allo sguardo d’un uomo di penetrare nel santuario della loro coscienza. Anche talvolta sentendosi colpevoli di cose, sulle quali sono interrogate, ed anche convinte che il loro peccato non può essere perdonato se non ne fanno confessione, pur son più potenti in esse le leggi del pudore che le esigenze della loro perfida Chiesa. Nessun riguardo, neppure il timore di essere per sempre perdute le indurrà mai a dire ad un uomo peccatore cose che solo Dio deve sapere, poiché

 

Egli solo può tutto lavare col sangue del suo Figliuolo sparso sulla croce.

E chi potrà mai dire le torture segrete e le angoscie di queste anime nobili che Roma tien così incatenate? Leggono in tutti i libri, odono in tutti i sermoni che, nascondendo un sol peccato al confessore, son per sempre perdute: ma, giacchè non posson calpestare le sante leggi della modestia, le quali vietano che si parli di certe cose all’orecchio di chiunque, e meno ancora all’orecchio di un prete, menan triste la vita in un continuo terrore del giudizio di Dio.

 

Linguaggio umano non potrà mai esprimere il turbamento e la desolazione di queste nobili dame, allorquando a’ piedi del confessore si trovano fra la necessità terribile, da una parte, di rivelar cose la cui confessione è più penosa della morte, ed il pericolo, dall’altra, di esser dannate se non discorrono con lui di ciò, di cui una donna onesta non può discorrere.

Molte di queste donne ho conosciute, dotate di non comune intelligenza, le quali chiedevano a Dio fra i pianti ed i singhiozzi la forza di attutire il sentimento del pudore, per degradarsi e sacrificarsi fino al punto di parlare con un uomo di cose delle quali una donna perduta non oserebbe parlare col suo proprio seduttore.

 

Speravano di essere esaudite, e venivano al confessionale col fermo proposito di dire tutto, ma quando l’istante del sacrificio era venuto, quando non si trattava se non di dire la parola e strappare il velo, onde il pudore di donna onesta copriva, il loro coraggio veniva meno, le loro ginocchia tremavano, le loro labbra si tingevano del pallore della morte, la lingua rifiutava di parlare ed un freddo sudore scorreva su tutte le loro membra. La voce della modestia e del rispetto che la donna deve a se medesima, parlava più forte della voce della Chiesa, e ritornavano dal confessionale serbando ancora in seno il fatale segreto, e colla coscienza aggravata d’un nuovo sacrilegio!

Oh! quanto pesa il giogo della Chiesa Romana! Quanto è amara la vita di coloro che ne sono schiavi! Il grandioso mistero d’amore e di misericordia compiuto sul Calvario rimane senza forza ed oscuro per queste anime infelici!

 

Oh! quanto liete sarebbero queste donne di slanciarsi in mezzo alle fiamme che consumano la povera vedova delle rive del Gange, se sapessero di potersi, col supplizio di un momento, liberare del fardello che le accascia lungo la via, e sottrarsi per sempre ai terrori d’un’eternità, il cui spaventevole pensiero le tortura giorno e notte!

E quel che è più deplorevole si è, che questa orribile vita è quella della massima parte delle donne e delle fanciulle della Chiesa di Roma, almeno per un certo numero di anni. Io sfido i preti di Roma a negare ciò che asserisco su questo proposito. Sì, questo è un fatto conosciuto da tutti i preti di questa sedicente Chiesa, un fatto che niuno di essi oserà negare. La più gran parte delle donne non possono riuscire da se medesime ad abbattere le sante barriere del pudore, che Dio tre volte santo ha innalzate nelle loro anime, affidandone loro la custodia, come di uno fra i più potenti talismani contro le seduzioni della terra.

 

Queste sacre leggi di pudore, che non permettono ad una donna di dire una parola disonesta all’orecchio di un uomo, e che le proibiscono di ascoltare le proposizioni di un uomo quando queste potessero contaminare l’onestà dei suoi pensieri, sono talmente dalla donna riguardate come uno dei doni più preziosi di Dio, ch’ella sovente preferisce esporsi al pericolo di essere eternamente perduta, anziché violarle.

 

Spesso occorrono molti anni di sforzi, che non esito a chiamare diabolici, da parte dei confessori per persuadere la maggioranza delle loro penitenti, che esse possono liberamente intrattenersi con loro di questioni, sulle quali neppure i selvaggi delle foreste permetterebbero alle proprie mogli o figliuole di dire una parola. Parecchie resistono lungamente a tutti gli sforzi dei confessori, e non cedono, se non quando sono per così dire esaurite. Una gran parte si decide piuttosto a cader fra le mani di Colui, che alla fine è Dio di misericordia, e morire senza confessare questi peccati, anziché dire all’orecchio di un uomo le cose, ch’egli non può ascoltare senza esserne sporcato lui stesso.

 

Tutti i preti della Curia Romana conoscono queste disposizioni naturali e queste resistenze di un gran numero delle loro penitenti. Non v’ha teologo di Roma, il quale non abbia avvisato i confessori di tenersi in guardia contro questa disposizione delle donne a nascondere dei peccati che l’onestà non permette di nominare. Dens, Liguori, Delreyne, Bailly, Kenrick, ecc. in una parola, tutti i teologi riconoscono che questa è una delle più grandi difficoltà che il confessore deve incontrare, uno dei più grandi ostacoli, ch’egli deve superare per riuscire nel suo ministerio.

No: nessun prete della Chiesa Romana oserà negare ciò ch’io affermo, poiché egli sarebbe schiacciato dal peso di numerose autorità che potrei produrre per confonderlo e smascherare la sua impostura.

 

Se Dio me ne darà il tempo, mi propongo di pubblicare un volume di estratti dei teologi di Roma intorno a questo soggetto. Sarà questo il libro più curioso che abbia mai esistito, e questo libro sarà nel contempo la prova più evidente di un fatto, che partecipa quasi del miracolo: cioè, che le donne nella Chiesa di Roma, senza essere mai consultate su tale questione, ma essendo soltanto guidate da questo divino istinto di pudore e di onestà che Dio ha messo in loro, lottano dappertutto contro il prete, nel confessionale, con un coraggio sovrumano, e resistono con energia pressochè indomabile contro i preti che in tutti i luoghi invia il papa per soggiogarle e per perderle.

Dunque la donna comprende, che, come v’han delle cose che non si possono fare, ve n’han parimenti altre che non si possono dire, senza oltraggiare Dio. Dappertutto ella ode una voce dal cielo, che le dice: Non è già abbastanza che tu abbia commesso il tal peccato alla mia presenza?

 

Vuoi ora accrescere la tua iniquità parlando con quest’uomo di cose ch’egli non può ascoltare senza perdere se stesso? E non vedi che tu fai di lui il tuo complice, quando riversi nell’anima sua le lordure delle quali la tua propria è coperta? Quando anche costui fosse santo come Davide, non cadrebbe egli alla vista della debole Bat-Seba? Fosse forte come Sansone, non sarebbe sconfitto dalla seducente Dalila? Avess’anche il coraggio di Pietro non sarebbe vinto dalla semplice parola della fanticella? No! il mondo non ha mai visto una lotta più terribile e più disperata di quella che si combatte nell’animo di questa giovine moglie e di quest’umile figliuola, le quali prostrate appiè del prete debbon fra se stesse decidere: se debbono ascoltare la voce del pudore, ch’è voce di Dio, e nascondere a quest’uomo ciò che una donna non può dire ad un uomo; oppure se debbono degradarsi fino a dimenticare il rispetto che debbono a se medesime, fino a parlare con lui di cose che non possono non contaminare e chi le ascolta e chi le dice.

 

La storia di questa lotta segreta, ma disperata e terribile, non è stata, a quanto mi sappia, giammai scritta: lagrime di ammirazione essa strapperebbe da ciglia le più dure, se potesse esporsi in tutta la sua sublime e terribile realtà.

Quante volte nel confessionale io ho pianto come un fanciullo, allorchè alcune di queste donne di nobile ed elevato carattere si lasciavan vincere dai miei sofismi o da quelli di un altro prete, e si decidevano a sacrificarsi e violentare il sentimento del pudore per parlarmi di cose di cui una donna onesta non parlerà mai all’orecchio d’un uomo senza arrossire. Non mi tacevano la ripugnanza e l’orrore che provavano ascoltando le domande che loro venivano fatte; mi dicevan pure del supremo disgusto col quale eran costrette a rispondere, e spesso mi scongiuravano ad aver pietà di loro…

 

Oh! molte volte, mentr’ero prete di Roma, ho sinceramente pianto sulla mia degradazione nel confessionale. Io sentiva tutto ciò che v’era di santo, di grande nelle preghiere che spesso m’indirizzavano le mie penitenti di non interrogarle mai, di non costringerle a parlare di cose che offendono il pudore. Elleno mi apparivano talora come angeli di luce ai miei lati, ed ero quasi tentato di gettarmi ai loro piedi chiedendo perdono di averle interrogate su cose, delle quali un uomo di onore non parlerà giammai con una donna che rispetta.

 

Ma ahimè! spesso doveva rimproverarmi questo difetto di confidenza e di fede negli insegnamenti della Chiesa infallibile, di cui ero prete. E allora bisognava soffocare la voce della coscienza che mi gridava: Non è vergognoso che tu, uomo non ammogliato, discorra di simili cose con una madre di famiglia; moglie d’un uomo d’onore? Come non ti vergogni di fare la tale o la tal’altra domanda a questa fanciulla di quindici anni? Dov’è il rispetto che devi a te stesso ed a Dio, che tutto vede ed ascolta? Non t’avvedi che tu perpetri la rovina di questa donna e di questa fanciulla, seguendo il consiglio dei tuoi teologi e della tua Chiesa che ti costringono a contaminare con domande infami il pensiero ed il cuore delle tue penitenti?

 

Tutti i papi, i teologi ed i concilii di Roma mi obbligavano a credere che questa voce di Dio, che così mi parlava facendomi udire il grido della mia coscienza, era la voce di Satana! A dispetto della mia coscienza e della mia intelligenza, le quali mi dicevano queste cose esser cattive, io doveva credere ch’esse erano buone e sante. Spietata, la mia Chiesa mi costringeva a tuffarmi con queste donne e queste fanciulle in questo mar di Sodoma, qual’è il confessionale, per navigar con loro; sotto pretesto che la confessione di tali cose era utile per umiliare, ispirare loro l’orrore pel peccato e prepararle a ricevere il perdono, ch’io avrei loro impartito con la mia assoluzione.

 

Non era molto tempo, dacchè ero prete, quando un giorno fui un poco imbarazzato e sorpreso di veder venire alla volta del mio confessionale una delle più belle e più compite fanciulle ch’abbia mai conosciute, e che sovente aveva avuto occasione d’incontrare in casa di suo padre. Ella era solita di andarsi a confessare ad un giovane prete, mio amico, ed era reputata come la più saggia fra le donzelle del paese.

 

Benchè si fosse accuratamente travestita, per non essere riconosciuta, pure credetti riconoscerla; mi sembrò che fosse la buona ed eccellente Madamigella*** (la chiamerò Maria per tacere il suo nome) ma non essendo assolutamente certo della sua identità, mi fu agevole di lasciarla sotto l’impressione ch’ella mi fosse perfettamente sconosciuta. Dopo essersi inginocchiata, stette qualche tempo senza poter dire una parola, e quando volle parlare, la sua voce fu ben presto soffocata dai singhiozzi. Guardando attraverso la piccola griglia che ci separava, mi accorsi che due ruscelli di lagrime le scorrevano sulle guancie.

 

Finalmente, dopo molti sforzi mi disse: “Caro padre, spero che voi non mi conosciate, e che neppur cercherete di sapere ch’io mi sia… Mi basti dirvi che io sono una misera peccatrice. Oh! mio Dio! Ho gran timore che non vi sia per me più speranza di salvezza! Ma pure, se è ancora possibile che io sia salvata, ve ne scongiuro per l’amore di Dio, abbiate pietà di me, e non mi scacciate dal vostro confessionale. E prima di cominciare la mia confessione permettete che vi preghi di non contaminare le mie orecchie né il mio pensiero con alcuna domanda che i nostri confessori han l’abitudine di rivolgerci.

 

Due volte già queste domande han cagionata la mia rovina. Pria di entrare nel mio diciassettesimo anno, il Signore sa che i suoi angeli non sono più puri di quel che l’era io; ma un giorno il cappellano del convento in cui mi avevan messa i miei genitori per la mia educazione, mi fece una domanda durante la confessione, che da principio non compresi. Sventuratamente egli aveva domandato la stessa cosa ad una delle mie compagne di classe che l’aveva pur troppo compresa, ed anzi si mise a farvi su degli scherzi in mia presenza; e fu da quella prima conversazione contro il pudore che caddi rapidamente nell’abisso del peccato, in cui presentemente mi trovo.

Dapprima, fui assalita giorno e notte dalle più umilianti tentazioni, e dopo questo un vero fiume d’iniquità, che oggi vorrei cancellare col mio sangue, ha coperta l’anima mia come sotto le acque di un diluvio.

 

Ma le gioie del peccatore son di breve durata. Ben presto fui colpita dal timore dei giudicii di Dio, e dopo alcune settimane passate nel disordine mi decisi di cambiar vita e riconciliarmi con Lui. Piena di vergogna e tremando tutta, andai a trovare il mio vecchio confessore, che amava come un padre e veneravo come un santo. Parmi che gli facessi la sincera confessione dei miei peccati ad eccezione di un solo, che per rispetto verso di lui non osai confessare. Non gli nascosi del resto che la malaugurata domanda fattami da lui, aiutata dalla corruzione naturale del mio cuore, era stata la causa del mio traviamento.

 

Egli mi parlò con molta bontà e saggezza, m’incoraggiò a combattere le mie malvagie inclinazioni e mi diede eccellenti consigli. Ma come ebbe finito di parlare, mentre mi accingeva a lasciare il confessionale, mi fece due nuove domande d’un indole tanto impura e corruttrice, che io temo che né il sangue di Cristo, né le fiamme dell’inferno potranno mai purificarmene e cancellarle dalla mia memoria. Son le domande che han compiuta la mia ruina; esse si sono attaccate all’anima mia come due freccie avvelenate… son giorno e notte nel mio pensiero… e riversano nelle mie vene un fuoco che mi divora.

È vero che in sul principio queste domande mi avevan ripiena d’orrore e di sdegno, ma ahimè! ben presto mi assuefeci alle impressioni ch’esse mi producevano ed il peccato che infiltrarono nell’anima mia divenne fra non guari come una seconda natura.

 

Un mese dopo la regola del convento esigeva che andassimo a confessarci. Ma questa volta era talmente pervertita che non aveva più vergogna di confessare i miei peccati; all’incontro io provava un segreto piacere, pensando che andavo a parlare di queste cose con un uomo, e che egli mi avrebbe probabilmente fatto nuove domande.

Difatti quando gli ebbi confessato, senza arrossire, tutto ciò che avevo fatto, egli cominciò ad interrogarmi; Iddio sa di che natura corrompitrice erano le domande che mi faceva: ogni sua parola faceami provare sensazioni di cui oggi arrossisco, ma che allora mi piacevano. Dopo un’ora di questa confidenziale ed intima conversazione, ebbi ad accorgermi che il cuore del mio confessore non era meno depravato del mio. In un linguaggio velato egli mi fece un’infame e delittuosa proposizione, che io non esitai ad accettare, e per quasi lo spazio di un anno abbiamo vissuto entrambi nel peccato.

 

Benchè fosse in età più avanzata della mia, pure io m’era attaccata a questo prete nel modo più folle e criminoso. – Nondimeno, quando finiti i miei studi, i miei parenti mi richiamarono presso di loro, mi sentii lieta di abbandonare il convento; era stanca dei miei disordini, e speravo che allontanandomi da quel confessore avrei più agevolmente potuto riconciliarmi con Dio.

Sventuratamente, mi scelsi un altro confessore molto giovane, ed il quale alla sua volta amava anche troppo d’interrogare: cominciò subito ad amarmi, e caddi facilmente nei lacci che mi furono tesi…

Io non parlo così, per mettere sulle spalle del confessore la responsabilità dei miei falli; no, poiché sinceramente mi credo più colpevole di lui. – Sono intimamente convinta, che prima di conoscermi egli era buono ed onesto, ma le domande, che s’è creduto in dovere di farmi, e le risposte che mi ha costretta a fargli, gli hanno fatto male. Io me n’accorgeva: le mie parole cadevano sul suo cuore come piombo bollente su di uno strato di neve.

 

Veggo bene che tutto questo non è una confessione, come la nostra santa religione vuole; ma ho stimato necessario di farvi brevemente la storia della più grande e più miserabile peccatrice che mai siasi indirizzata a voi, affinchè colle vostre preghiere e coi vostri buoni consigli mi aiutiate ad uscire dall’abisso in cui mi vedete caduta. Ecco dunque come son vissuta in questi ultimi anni. Ma domenica scorsa il Signore mi ha riguardata attraverso la sua misericordia. Egli vi ha ispirato di presentarci dal pergamo il figliuol prodigo, come il vero modello della conversione e come la prova più splendida e meravigliosa dell’amore e della compassione infinita del Salvatore verso il povero peccatore.

 

Dacchè ho inteso questo discorso, giorno e notte non ho cessato di piangere. Come il figliuol prodigo, mi son gittata fra le braccia di questo Padre buono e misericordioso che avevo offeso, ed ho provato una pace, una felicità che non avevo mai conosciuta, e che non saprei esprimere. Poiché quantunque l’anima mi si attristi considerando i miei peccati, pure, quando penso all’amore del mio Salvatore per me, il mio cuore si riempie di una gioia veracemente ineffabile. Oh! sì, quando Egli mi permette di starmene ai suoi piedi, di abbracciarli e bagnarli colle mie lagrime, io non so dirvi la gioia che provo.

 

Comprenderete che ho abbandonato per sempre il mio ultimo confessore; ed ora vengo a supplicar voi, affinchè mi riceviate nel numero delle vostre penitenti. Per l’amore di Gesù Cristo, non vogliate rifiutarmi questo favore! Non abbiate paura di questo mostro di iniquità che vedete ai vostri piedi.

Se non che prima di andare avanti io debbo chiedervi due favori: il primo che non cerchiate di sapere chi io sia, il secondo che non mi facciate alcuna di quelle domande, per le quali le anime di tante penitenti vanno perdute. Due volte già queste domande mi hanno cagionato un male irreparabile. Noi veniamo al confessore, sperando ch’egli ci purifichi l’anima colle acque della vita eterna; ma in generale i confessori versano olio bollente sulle fiamme che purtroppo ardono nei nostri poveri cuori.

 

Caro padre, se vi prego di accettarmi per vostra penitente, è soltanto affinchè voi mi prendiate per mano, e mi conduciate ai piedi del Salvatore, ove io voglio piangere, come Maria Maddalena, e ricevere il suo perdono. Rispettatemi come questa peccatrice fu da Gesù rispettata. Le ha Egli rivolta alcuna domanda, che avesse potuto farla arrossire? Le ha chiesto di raccontar cose, che una donna non può raccontare senza mancar di rispetto a se medesima? No: in uno dei vostri ultimi sermoni voi avete detto, che tutto ciò che fece il Salvatore fu di riguardare alle sue lagrime, al suo pentimento ed al suo amore. Dunque, io ve ne scongiuro, non fate niente di più con me e sarò salvata”.

Io era molto giovane allora e giammai così belle e sublimi parole mi erano pervenute all’orecchio nel confessionale.

 

Le sue lagrime ed i suoi singulti insieme all’umiliante racconto delle sue miserie, mi avevano così profondamente impressionato che per qualche tempo fui incapace di proferir parola. Mi sembrò di essermi ingannato quando credetti che questa giovane fosse Madamigella Maria. Sicchè agevolmente potevo accordarle il primo favore che m’aveva chiesto, di non cercar di sapere chi ella fosse. Ma non era lo stesso per la sua preghiera di non rivolgerle alcuna domanda, poiché i teologi romani sono molto positivi sulla necessità in molte circostanze di interrogare le penitenti, soprattutto quando sono mogli o figliuole; l’incoraggiai quindi, quanto meglio potetti a rinunziare al peccato e ritornare a Dio, e consigliandola di indirizzarsi alla Santa Vergine ed a Santa Filomena, le quali erano allora ciò che attualmente tra i romanisti è Maria Alacogne, la santa alla moda. Le dissi che andavo a pregare e riflettere sulla sua domanda, e le ordinai di ritornare fra otto giorni.

 

Alla sera di quel medesimo giorno io era in compagnia del mio confessore, il Rev. sig. Baillargeon, allora parroco di Quebec e morto poi arcivescovo del Canadà. Gli parlai della dimanda singolare fattami da questa fanciulla, di non farle alcuna delle interrogazioni che i nostri teologi ci costringono a fare alla maggior parte delle nostre penitenti per assicurarci della integrità delle loro confessioni. Non gli nascosi il mio desiderio di accordare questo favore ripetendogli ciò che più d’una volta gli avevo detto, cioè che mi sentivo estremamente disgustato delle domande che i nostri teologi ci obbligano di fare alle nostre penitenti; ed aggiunsi francamente, che molti preti, dei quali ero confessore, mi avevano dichiarato che queste domande e le risposte ch’esse provocavano eran per loro un continuo fomite di peccato.

 

Ciò che gli dissi, mi parve aver messo in grande imbarazzo il mio confessore; mi pregò quindi di dargli un giorno di tempo per riflettere e consultare i suoi migliori libri di teologia, ed all’indomani ricevei in iscritto la sua risposta che riferisco qui in tutta la sua cruda esattezza.

“Non è raro sventuratamente, il caso di mogli e figlie pervertite dalle domande del confessionale, come quello che voi m’avete menzionato; ma pure son di quei mali che non possono evitarsi, dappoichè per assicurarci dell’integrità delle confessioni, bisogna fare le domande prescritte dai teologi moralisti. Generalmente gli uomini confessano con molta sincerità tutto quello che fanno, e non abbiamo alcun bisogno d’interrogarli: ma la nostra quotidiana esperienza non fa che confermare i saggi consigli di S.

 

Liguori, il quale ci avvisa che ben d’ordinario le mogli e le figliuole, per una falsa e criminosa vergogna, nascondono certi peccati. Non mai troppa può essere la carità del confessore per impedire che queste infelici vittime dei loro segreti peccati, facciano delle confessioni nulle e comunioni sacrileghe; ma ad uno zelo illimitato è mestieri accoppiare la più consumata prudenza; allorché si deve interrogarle su peccati d’impurità. Bisogna incominciare da’ peccati più leggeri e salire nella scala delle miserie umane per gradi impercettibili fino ai peccati più gravi contro la castità. Essendo dunque evidente che la sciagurata, di cui ieri mi parlavate, non vuol confessare tutti i suoi peccati, in un caso tanto grave, voi non potete darle l’assoluzione, prima d’esservi assicurato con prudenti domande, che niente ella abbia nascosto nella sua confessione.

 

Non dovete scoraggiarvi, quando nella vostra pratica del confessionale incontrate dei preti, i quali nello stato della nostra natura degenerata, sian caduti in falli troppo comuni tra confessori e penitenti. Il nostro Salvatore ben conosceva le occasioni e le tentazioni che avremmo incontrate nella confessione delle donne. Egli prevedeva che non tutti i suoi preti avrebbero avuto la forza di resistervi; ma ha dato loro la Santa Vergine, la quale, come una buona madre, prega nel cielo incessantemente per loro, chiede ed ottiene il loro perdono. Ha dato loro anche il sacramento della penitenza, nel quale confessandosi con un sincero pentimento, possono ricevere perdono. – Il voto di perfetta castità, che tutti dobbiamo fare per esser preti, è per noi un grande onore, e c’innalza ad una sublime dignità; ma non si può negare che sia anche un pesante fardello, che tutti non hanno il coraggio di portare fino al termine della carriera. S. Liguori ci consiglia di non rifiutare l’assoluzione ad un prete, il quale pecchi con la sua penitente solo una volta al mese; e v’han teologi molto rispettabili, che spingono la carità anche più oltre!!”

 

Una tale risposta non mi soddisfece: essa non decideva nulla, ed anzi non faceva che aumentare il mio imbarazzo. Me ne ritornai disturbato e pieno d’inquietudine; e Dio sa quanto ardentemente lo pregai d’ispirare alla mia nuova penitente l’idea di cercarsi un altro confessore… Io era giovane, pieno di forza e di vita: avevo appena cominciato il mio venticinquesimo anno… Le punture di mille vespe alle orecchie m’avrebbero cagionato minor male delle parole di quell’angelo caduto. Non voglio dire che le sue confidenze avessero in qualsiasi modo diminuito il mio interesse ed il mio rispetto per lei; al contrario, le sue lagrime, i suoi singulti, mentre stava ai miei piedi, le sue commoventi espressioni di vergogna e di cordoglio, la sua nobile protesta contro le impure e disgustose domande del confessionale l’avevano più innalzata nel mio pensiero. E non lo nego, aveva grande speranza che un posto vi sarebbe per lei nel gran regno di Cristo, accanto alla Maddalena ed a tante altre peccatrici, le quali han lavate e laveranno fino alla fine dei secoli le stole delle loro anime nel sangue dell’Agnello.

 

All’ottavo giorno all’ora stabilita io mi trovavo al mio posto occupato a confessare un giovanotto; allorchè con mio rincrescimento vidi la mia nuova penitente entrare nella sagrestia ed avanzarsi verso il mio confessionale; e quantunque il suo viso fosse più dell’altra volta celato sotto un lungo velo nero, pure la riconobbi perfettamente. Il suo passo grave e modesto ed il suo dignitoso contegno tradirono l’incognito e m’assicurarono ch’ella era veramente Madamigella Maria***, nella cui famiglia aveva passate tante ore deliziose sentendola cantare al piano i nostri bei cantici colla sua bella voce. Chi avrebbe allora potuto guardarla senza esser ripieno per lei della più rispettosa stima?

 

Oh! con quanta gioia, in quell’ora solenne, avrei dato tutto il mio sangue per poterle concedere il favore ch’ella m’avea chiesto, di condurla ai piedi di Gesù, ed ivi lasciarla versare le sue lagrime di dolore ed amore! Non avrei fatto altro per lei, che mostrarle il Salvatore, condurla ai suoi piedi, lasciarvela spandere l’olio ed il profumo dell’anima sua. Poi non le avrei detto altro che: “Vattene in pace; i tuoi peccati ti son rimessi, perciocchè tu hai molto amato!” (Evangelo di S. Luca VII, 47, 50).

Ma nel confessionale io non era l’ambasciatore di Cristo; non potevo ubbidire alla sua Parola piena di santità, di luce e di verità.

 

Là, io non era libero di ascoltare la voce della mia onesta coscienza: là io era l’ambasciatore, lo schiavo del papa! Il mio dovere era di rimaner sordo alle parole del mio Dio; nel confessionale la mia coscienza non aveva diritto di parlare, la mia intelligenza era morta e seppellita nel fondo del suo sepolcro. Solo i teologi del papa han diritto di parlare, di essere intesi in quella religione di corruzione, di tenebre e di morte. Io non era là per salvare e dare la vita, ma per perdere e dare invece la morte; perciocchè la confessione auricolare, sotto il pretesto specioso di purificare le anime, a dispetto dello stesso prete, non è stata istituita da Satana, che per perdere e condannare le anime.

 

Appena ebbi finito di confessare quel giovanotto, mi voltai senza rumore dalla parte della mia penitente, per dirle se era pronta a cominciare la sua confessione; ma ella non rispondeva.

Parlava col Signore, e queste parole sentii ripeterle con un ardore inesprimibile: O mio Salvatore Gesù, abbiate pietà di me!… Mio caro Salvatore, eccomi ai vostri piedi con tutti i miei peccati: Deh! non vogliate rigettarmi!… Vengo a lavare la mia povera anima colpevole nel vostro sangue; ricevetemi nella vostra misericordia!

Per alcuni minuti ella tenne le mani e gli occhi sollevati verso il cielo, e torrenti di lagrime le bagnavano le guance.

 

Io la guardava con un profondo sentimento di rispetto, senza che dubitasse di niente; giacchè non aveva neanche avvertito il rumore della grilletta che avevo aperta. Non potendo io più oltre contenere l’emozione del mio cuore, lasciai scorrere anche le mie lagrime ed unite alle sue innalzai al cielo le mie preghiere. Per qualunque cosa non avrei voluto interrompere la santa e sublime comunione di quest’anima col suo Salvatore; ma dopo di aver atteso molto tempo nel silenzio del mio pianto e della mia preghiera, feci colla mano un piccolo rumore sui quadrelli della griglia, ed a bassa voce le ripetei:

 

Cara sorella, siete pronta per cominciare la vostra confessione?

Chinandosi un poco dalla mia parte, mi rispose: Sì, padre, son pronta. Poi si fermò ancora molto tempo per piangere e pregare, ma non potetti comprendere ciò che diceva a Dio. Mi fu mestieri d’interrompere nuovamente la sua preghiera per dirle: Cara sorella, se siete pronta abbiate la bontà di cominciare la vostra confessione.

Mio caro padre, mi rispose, vi rammentate la preghiera che vi ho fatto l’altro giorno? Potete ricevere la mia confessione senza costringermi a dire cose che non posso dire, senza dimenticare il rispetto che debbo a Dio, a voi ed me stessa?

 

Promettete di non farmi alcuna delle solite domande del confessionale, le quali già m’han fatto tanto ed irreparabile male? Onestamente vi torno a ripetere che gravitano sulla mia coscienza peccati, che non sarò mai capace di palesare ad un uomo. Solo posso discorrerne a Gesù Cristo, ch’è il mio Dio, che già li conosce, e che non può esserne scandalezzato. In nome del cielo, lasciatemi piangere ai piedi del mio Salvatore, senza obbligarmi ad accrescere il numero dei miei peccati con rivelazioni, che nessuna donna dovrebbe mai fare ad un uomo.

 

Mia cara sorella, le risposi, se io fossi libero di agire secondo i miei pensieri, Dio sa quanto sarei felice di concedervi il favore che m’avete domandato. Ma io son qui come prete della nostra santa Chiesa, ed è la sua voce sola che debbo ascoltare, le sue leggi sole debbono guidarmi. I precetti dei nostri più santi papi e dei nostri più venerabili teologi mi proibiscono di assolvervi, finchè non m’abbiate confessato tutti i peccati di cui possiate ricordarvi. Dippiù, la nostra santa Chiesa prescrive, che voi mi dichiariate, col più gran dettaglio, tutte le circostanze che han potuto cambiare la natura dei vostri peccati e aumentarne la malizia; e debbo infine prevenirvi che il confessore dee rimaner libero di fare le domande che crede necessarie, per accertarsi che tutti i peccati, insieme alle loro circostanze aggravanti, siano stati confessati.

 

Com’ebbi finito di parlare, mandando un acuto grido, ella disse: Sicchè, mio Dio, eccomi perduta! perduta, senza rimedio!

Quel grido mi trafisse l’anima, e fu per me come lo scoppio della folgore; ma più grande fu il mio spavento, quando vidi che nel parossismo del suo affanno ella dava violentemente la testa contro la parete del confessionale. Mi lanciai per sostenerla, ma era tardi; ella era stesa sul pavimento, senza conoscenza e pallida come una morta.

 

Chiamai due uomini per aiutarmi, e la coricammo sopra una panca. Intanto m’accorsi che le sue labbra tornavano a muoversi; avvicinai l’orecchio per udir ciò che diceva, ma non udii che suoni inarticolati, fra i quali potevo soltanto comprendere queste parole: Son perduta. Nessuno, tanto parlava piano, poteva intenderla all’infuori di me.

Ritornata un poco in sé, la conducemmo in casa di suo padre, ove passò molti mesi tra la vita e la morte.

 

Qualche giorno dopo vennero a visitarla i suoi due ultimi confessori; ma ella non volle vederli, e proibì loro di mai più presentarsi in casa sua. Dal primo giorno mi aveva pregato di visitarla spesso, dicendomi: Io so che pochi giorni oramai mi restan di vita; aiutatemi, vi prego, a prepararmi per l’ora solenne che dovrà decidere della mia eternità. Sicchè ogni giorno andava a visitarla per pregare con lei ed unire le mie lagrime alle sue.

Sovente, quando eravamo soli, inginocchiandomi davanti al suo letto di sofferenze, la pregavo colle lagrime agli occhi di terminare la sua confessione e di nulla nascondermi affinchè avessi potuto assolverla; ma con una fermezza inflessibile e desolante, che non sapeva comprendere, ella eludeva le mie domande.

 

Un giorno, essendo pure soli, m’inginocchiai accanto al suo letto per pregare, ma non ero capace di articolare una parola; le lagrime ed i singulti mi soffocavano. Allora a bassa voce ella mi disse: Caro padre, perché piangete?

Cara amica, le risposi, come potete fare una simile domanda al vostro carnefice? Io piango, perché vi ho dato il colpo di morte!

La mia risposta la disturbò non poco. In quel giorno ella era molto debole. Dopo aver lungamente pregato in silenzio e versate molte lagrime, mi disse: Non piangete per me, ma piangete piuttosto per tanti disgraziati preti che compiono al confessionale la ruina delle loro penitenti. Io credo che il sacramento della penitenza sia stato istituito da Gesù Cristo, poiché lo dice la nostra santa religione, ma non v’ha dubbio che in fondo alla confessione auricolare vi sia qualcosa d’estremamente malvagio.

 

Due volte, in occasione delle mie confessioni, i confessori han contaminata l’anima mia; e conosco molte altre fanciulle, che nel confessionale han perduta la loro innocenza. Finora questo è un segreto; ma lo sarà ancora per lungo tempo?

Io compiango i preti, pensando al giorno in cui i nostri genitori sapranno qual’orrendo scempio si faccia nel confessionale della purità e dell’onore delle loro figliuole. È fuori dubbio che mio padre non esiterebbe un istante a sacrificare la vita dei miei due confessori se sapesse che si son serviti del confessionale per rovinare la sua disgraziata figliuola.

Non seppi rispondere a queste parole, che coprendomi il viso con le mani, per nascondere la mia vergogna ed il mio pianto.

 

Restammo entrambi lungo tempo senza parlare, ma, interrompendo il suo lungo silenzio, ella mi disse: Veramente non m’aspettava che m’avreste rifiutato il favore che vi ho chiesto; ma comprendo che voi avete agito coscienziosamente come un buon prete. Io so che nel confessionale non siete libero di agire come credete meglio, e che avete le vostre regole, che non potete trasgredire. Cessate dunque, caro padre, di piangere, poiché le vostre lagrime mi fanno male. È vero che la sorpresa e la tempesta, che il vostro inaspettato rifiuto ha suscitato nell’anima mia, hanno squarciato i fianchi della mia debole barca; ma il Signore ha permesso che questa tempesta mi fosse sopraggiunta, affine di menarmi più presto al porto di salvezza, ove Gesù m’aspetta per ricevermi fra le sue braccia, per perdonarmi e salvarmi. La notte seguente al giorno in cui mi conduceste qui, ebbi un sogno; ma, piuttosto che un sogno era una visione del cielo. Gesù venne a me, e lo vidi con i miei proprî occhi tutto coperto di ferite e di sangue.

 

Portava sulla testa la corona di spine che trafiggevan la sua fronte; e le sue spalle eran quasi schiacciate sotto il peso della croce. Mentre lo vedeva venire a me; Egli mi diceva con una voce piena di dolcezza: “Ho visto le tue lagrime, ho inteso i tuoi sospiri ed i tuoi lamenti. Io so che tu mi ami. I tuoi peccati ti son rimessi! Coraggio! fra pochi giorni tu sarai con me nel mio Regno”.

 

Dette queste parole, rimase senza conoscenza e temendo che morisse mentre mi trovavo solo con lei, chiamai la famiglia, che in un momento si precipitò nella stanza. All’istante si mandò per il medico. Egli trovò l’ammalata tanto debole che ordinò a tutti, meno che a sua madre ed a me, di uscire per renderle più agevole il respiro e ci proibì di dire una sola parola; perciocchè, diceva, la minima emozione potrebbe esserle fatale. – È probabile continuava, che il suo male sia un aneurisma nella grossa vena del cuore; appena questa vena sarà rotta, ella sarà morta.

 

Essendo circa la mezzanotte, mi ritirai per avere un poco di riposo; ma non fa mestieri dirlo, mi fu impossibile chiuder occhio. Quella povera fanciulla mi stava davanti pallida e moribonda! ed io le aveva dato il colpo mortale! Ella era là, distesa in quel letto d’indicibili sofferenze, e la mia mano crudele le aveva trafitto il cuore col pugnale di cui la mia Chiesa mi aveva armato per colpirla.

 

Ella moriva, e lungi dall’odiarmi e maledirmi per il mio cieco fanatismo, mi benediceva! Ella moriva col cuore straziato dal dolore; e la mia Chiesa non permetteva che le dicessi una sola parola di consolazione o di speranza, sol perché non mi aveva confessato tutti i suoi peccati! Era quasi certo che fra poco quella sventurata creatura non sarebbe più stata fra i viventi, e la mia Chiesa, inaccessibile alla pietà, mi proibiva parlarle della corona, che il Salvatore ha preparata nei cieli, per coloro che hanno pianto ai suoi piedi sulla terra e l’hanno amato! E tutto questo, perché ella avea rifiutato di contaminare il mio pensiero con cose che Dio proibisce di dire all’orecchio d’un uomo, quand’anche fosse il più puro.

 

La mia desolazione era senza limite; e credo che in quella notte sarei morto, se verso il mattino non avessi avuto il sollievo di versare molte ed amare lagrime.

Ma quanto lunga e tetra fu per me quella notte!

Avanti giorno mi era alzato per rivedere i miei libri di teologia e cercare, se alcuno almeno fra i teologi mi permettesse di assolvere quella giovane morente, senz’obbligarla ad una confessione, per la quale il sentimento del pudore facea provare una invincibile ripugnanza; ma mi apparvero più che mai inesorabili. E coll’anima lacerata dal cordoglio lasciai quei libri con ribrezzo, quasi serpenti che m’avessero morsicato.

 

Alle nove del mattino ero accanto al letto della povera e cara moribonda. Fui contento in modo che non saprei dire, quando il medico e la famiglia mi dissero che stava meglio; e che il riposo della notte aveva mirabilmente operato.

Col sorriso d’un angelo tese verso di me la mano, già fredda del freddo della morte, e mi disse: Credeva che ieri sera, il buon Salvatore fosse venuto a prendermi; ma egli vuole che vi disturbi ancora un poco. Nondimeno l’ora non può esser lontana, in cui lascerò la terra per il cielo. Abbiate la bontà di leggermi ancora una volta la storia di ciò che il nostro buon Salvatore ha sofferto per me prima di morire. Quanto mi fa bene ricordarmi ch’egli m’ha amato benchè sia una così gran peccatrice!

Mentre così ci parlava, tutti eravamo colpiti della calma ch’esprimeva il suo viso. Quand’ebbi finito di leggerle la storia della passione del Salvatore, ella gridò, dicendo: Egli mi ha amato fino a morire per me!

 

E chiuse gli occhi. Ma colle labbra mormorava ancora qualche ardente parola d’amore. Il suo cuore pregava, e lagrime di gioia inondavano la sua faccia. Dopo alcuni minuti mi posi in ginocchio con tutta la famiglia per pregare, ma non fui capace di proferire una sola parola. Il pensiero ch’ella fra un istante sarebbe morta, e che della sua morte era io la causa per la mia cieca obbedienza al crudo e selvaggio fanatismo de’ miei teologi, era come una pietra di mulino attaccata al mio collo che mi uccideva.

 

Oh! se con mille delle mie morti avessi potuto aggiungere un solo giorno all’esistenza di quella cara fanciulla con quanta gioia avrei accettato di morire per lei!

Dopo che lungamente ed in silenzio avevamo pregato e pianto vicino al suo letto di dolore, ella pregò sua madre e tutti quelli che erano là di ritirarsi per lasciarla sola con me.

Pensando che quella fosse l’ultima occasione ch’aveva di esortarla a finire la sua confessione e ricevere il perdono dei suoi peccati, mi posi nuovamente in ginocchio e la scongiurai di vincere finalmente quella vergogna che l’impediva di fare una buona confessione, adducendole tutti i più potenti motivi che potetti trovare per impegnarla a confessarmi tutto ciò che aveva fatto.

 

Ma con calma ed aria di dignità, che sembravano più del cielo che della terra, ella volse verso di me il suo sguardo, e mi disse: È vero che quando Adamo ed Eva ebbero peccato, Iddio colle sue proprie mani fece un abito per vestirli ed impedire che fossero l’uno all’altro soggetto di vergogna e di scandalo?

 

Sì, le risposi, questo è quanto sappiamo dalla Sacra Bibbia.

Ebbene, ella riprese, perché i nostri confessori osano spogliarci di questo divino mantello di pudore?… Giacchè Dio ha fatta questa veste di modestia, perché l’uomo e la donna nello stato di matrimonio non siano l’uno all’altra soggetto di vergogna, qual diritto ha il prete di spogliare la donna nel confessionale sotto pretesto di santificarla?

Io era realmente sopraffatto ed abbagliato dalla bellezza e sublime semplicità di tal paragone.

 

Quantunque esso demolisse da cima a fondo tutte le tradizioni e le dottrine della mia Chiesa, e riducesse in polvere tutti i sofismi dei miei teologi, pure ciò che ascoltavo aveva un’eco tanto perfetta nella mia intelligenza, che restai muto d’ammirazione.

Dopo alcuni istanti di silenzio ella soggiunse: Come già vi ho detto, due volte le domande dei miei confessori mi han perduta e degradata. Mi hanno strappato il manto del pudore del quale Dio medesimo ha rivestito tutti gli esseri creati a sua immagine, e due volte sono divenuta un abisso di perdizione, in cui eglino son periti… Ma Dio nella sua misericordia, non solo mi ha restituito questo manto di modestia e santità cristiana, ma eziandio il rispetto che debbo a me stessa, di cui i miei confessori mi avevano così crudelmente spogliata. Ed ora questo medesimo Dio non può permettere ad un altro uomo, per venerabile che egli sia agli occhi miei, di togliermi questo manto di pudore, di cui mi ha nuovamente rivestita.

 

Questo discorso l’aveva spossata; certo ella avea bisogno di riposo, sicchè mi affrettai a lasciarla sola. Ma io era fuori di me stesso. Ripieno d’ammirazione per la lezione che aveva testè ricevuta da quest’angelo terrestre, che presto sarebbe volato al cielo, sentivo anche un supremo disgusto per me stesso e per i miei teologi. Sì, io provava un disgusto inesprimibile per questa Chiesa che così crudelmente mi degradava, e degradava tante anime nel confessionale. In quel momento io guardava con orrore questa confessione auricolare, come una sorgente inesauribile di vergogna e di peccato per il confessore e per la penitente.

 

M’allontanai rapidamente, e me ne andai sulle pianure d’Abramo. Avevo bisogno di respirare l’aria della montagna. Sedetti sopra una pietra in mezzo al campo di battaglia ove Wuolfo e Moncalmo furono uccisi. E là per più d’un’ora, piansi amaramente sul vergognoso e degradante servaggio che, col resto dei preti di Roma, doveva sopportare nel confessionale.

Alle quattro del pomeriggio mi trovavo di bel nuovo accanto al letto della morente. Sua madre mi chiamò in disparte, e mi disse: Mio caro signor Chiniquy, non credete voi che sia ormai tempo di amministrare gli ultimi sacramenti a questa cara fanciulla? Questa mattina ci è sembrato che stesse meglio, ma la nostra speranza non era che una crudele illusione, ella deperisce a grandi passi. Per l’amor di Dio non tardate più a darle il santo viatico e l’estrema unzione!

 

Sì, signora, le risposi, io vado a prepararla per ricevere gli estremi conforti della religione; poiché veggo che non abbiamo un sol momento da perdere; compiacetevi lasciarmi per poco con lei.

Quando mi vidi solo, mi misi nuovamente in ginocchio, e piangendo dirottamente, le dissi: Cara amica, io desidero darvi il santo viatico e l’estrema unzione. Ma come amministrarvi questi sacramenti contro il divieto della Chiesa? Posso darvi la santa comunione prima che abbiate ricevuto il perdono dei vostri peccati? E posso darvi l’assoluzione ed il perdono dei vostri peccati, quando mi dite di non volerli confessare?

 

Voi sapete che vi rispetto quasi foste un angelo disceso dal cielo. Mi avete detto che benedicevate il giorno in cui per la prima volta mi avete conosciuto; ed alla mia volta benedico il giorno in cui per la prima volta ho sperimentata la misericordia di Dio verso di voi; benedico tutte le ore che ho passate accanto al vostro letto di sofferenze piangendo sui vostri e sui miei peccati; benedico tutti i momenti nei quali abbiamo contemplato insieme le piaghe delle quali è stato coperto il corpo del nostro Salvatore ed il sangue ch’Egli ha versato per noi. Vi benedico per avermi perdonato la vostra morte, perciocchè, lo confesso, sono io che vi ho uccisa! Ma in questo momento amerei mille volte morire, anziché dire o fare la minima cosa che possa contristarvi e turbare la pace dall’anima vostra. Io ve ne scongiuro, ditemi voi stessa che cosa debbo fare per voi in quest’ora solenne.

 

Ella mi rispose con calma, e mentre mi parlava un sorriso ineffabile di gioia allietava la sua faccia.

Io vi benedico e vi ringrazio, mi disse, per la parabola del Figliuol Prodigo che un mese fa avete spiegata. In quel giorno voi mi avete fatto trovare il mio Salvatore, e mi avete condotta ai suoi piedi. È là, che io ho trovato una pace, che parola umana non esprimerà giammai. Mi son prostrata ai piedi del mio Padre misericordioso che aveva offeso, ed Egli, io lo so, ha ricevuto nelle sue braccia ed ha stretta al suo cuore la sua povera e prodiga figliuola!… Egli ha perdonato i miei peccati!… Oh! io veggo gli angeli con le arpe d’oro intorno al trono dell’Agnello! Non udite voi le armoniose note del loro canto?… Io me ne vado nella casa del Padre mio ch’è ne’ cieli, Egli mi chiama!… Io non sarò giammai perduta!…

 

Mentr’ella parlava così io era inginocchiato avanti al suo letto; e i miei occhi eran chiusi, ma ne scaturivano due ruscelli di lagrime. Intieramente assorbito dalle sublimi e meravigliose parole che avevo intese dalla bocca di quella cara amica, la quale oramai non era per me che un angelo di pietà e di luce, non potevo e non dovevo veder nulla. In ciascuna di quelle parole eravi come una celeste armonia. Ma ella avea talmente alzata la voce, quando avea detto: Io me ne vado nella casa del Padre mio ch’è ne’ cieli, Egli mi chiama! Ed aveva parlato con tanta forza quando avea detto: Io non sarò perduta! che la parola perduta si era intesa in quasi tutta la casa.

 

Mi alzai allora per osservarla, ma dovetti prima asciugar le lagrime che mi riempivano gli occhi, e che m’impedivano di ben distinguere i suoi tratti. Avea le mai incrociate sul petto, sul suo viso vi era una sovrumana espressione di felicità e di gioia. Il suo sguardo era rivolto verso il cielo, come se fosse stata rapita dalla contemplazione d’uno spettacolo di grandezza e beltà impareggiabile… Da principio mi parve che pregasse.

 

In quel momento accorse la madre gridando: Mio Dio! mio Dio! che significa questa parola perduta che ho intesa?

Le feci segno con la mano di non far rumore, per non disturbare la nostra cara ammalata mentre pregava. Credevo realmente ch’ella avesse cessato di parlare per pregare in silenzio, come era solita. Ma mi ingannavo.

Purificata nel sangue del Calvario, quell’angelo della terra se n’era volato sulle ali dell’amore e della fede verso il trono dell’Agnello, per cantare l’eterno cantico delle sue misericordie!

Testimonianza tratta da: Pastore Chiniquy, Il prete, la donna ed il confessionale, pag. 3-28

[Tratto dal libro: "Testimonianze", Vol. 1, scritto da Giacinto Butindaro V.D.M.]

[Scarica il libro "Testimonianze" in formato zip]